L’impianto teorico-metodologico e tecnico del Teatro degli Affetti focalizza la sua attenzione su tre dimensioni, rappresentative delle tre componenti concettuali del metodo: la psicologia dei gruppi, la pedagogia attiva, il teatro e i suoi paradigmi strutturali.
Ogni dimensione, simultaneamente, guida il conduttore nel rapporto con il gruppo concepito, dentro un’azione e uno spazio, come unicum.
Opera di Damien Hirst
Considera il tessuto comunicativo e affettivo che si crea durante il laboratorio. Rivolge una particolare attenzione alle relazioni tra conduttore e gruppo, singoli e gruppo, conduttore e singoli, singoli tra loro. La conduzione di questa fase è attenta al piano psicologico sotteso all’azione espressiva e ai processi di stallo comunicativo-creativo. La riflessione attorno a questa dimensione, centrata sulla protezione delle emozioni di ciascun partecipante, ha dato la base per l’invenzione della tecnica di conduzione per Microindicazioni.
Riguarda le fasi di sviluppo del gruppo, che viene formato, si evolve e procede verso una progressiva autonomia della propria costruzione teatrale, grazie agli stimoli del conduttore, modulati in base alla progressione del gruppo stesso. Questa dimensione, che si nutre dei presupposti della pedagogia attiva, è attenta ai limiti del gruppo nel suo insieme e procede con metodica necessità integrativa. Profonda è la ricerca, in questa dimensione, della reintegrazione dell’assente e della tutela della fragilità soggettiva. Il limite è visto come il fulcro da cui evolvere. Il concetto di Processo domina questa dimensione. L’approfondimento ha permesso l’invenzione metodologica di 7 Fasi Evolutive che, progressivamente, sviluppano il massimo potenziale personale, compositivo, creativo.
Le Fasi fondamentali di questo percorso sono così delineate:
Fase di Desiderio progettuale
È la prima fase, presupposto del tutto, quella in cui più persone, a partire dall’idea di un conduttore, si sentono di desiderare un’appartenenza, un’esperienza. Non c’è obbligo, né induzione. Non c’è costrizione: alla base solo il desiderio. Il gruppo è un’entità idealizzata ma, nel pensiero del conduttore che è anche sempre il progettista, si apre la disponibilità all’incontro.
Fase di Contatto trasformativo
E’ la seconda fase, quella dove il progettista-conduttore incontra chi è portatore del mandato, della richiesta o, anche solo, dell’intento di partire. Può essere un’istituzione vera e propria, una scuola, oppure un singolo soggetto. In questa fase si guarda al presupposto e al fondamento. Si scruta il proprio agire e l’altrui necessità, attenti alle dinamiche istituzionali più disfunzionali che il metodo è riuscito a identificare. L'impegno primario è riuscire a raggiungere una mediazione progettuale trasformativa.
Fase di Contratto interattivo
E’ la terza fase. Il gruppo si costituisce e i singoli iniziano a fare esperienza laboratoriale dei codici interni al lavoro e del metodo di conduzione; si pongono le basi per l’attività espressiva nell’integrazione dell’azione corporea e verbale. Il conduttore comprende gli assetti del gruppo, le resistenze espressive e modella il proprio metodo al processo individuale e gruppale. Il gruppo inizia il primo training del TdA: allenarsi alle microindicazioni, agire senza obiettivo, procedere senza esempio del conduttore, trovare le formule per superare la fatica dell’invenzione di gruppo.
Fase di Dran-Theatron.
E’ La quarta fase, dove ha luogo il secondo training: allenamento alla creazione di gruppo secondo i principi della simultaneità, contemporaneità, contiguità. Costruire nello stesso tempo, nello stesso luogo, in stretto contatto prossemico fisico-uditivo-visivo.
Due intrinseche modalità di lavoro: centrata sul singolo e proiettata sul doppio.
Con la prima, il singolo si allena a sentirsi osservato, dominante, dentro però una scena di attori in posizione di Theatron. La posizione di Theatron è propria di chi è in stato di fermo, in protesa tensione a far seguire la propria azione appena l’attore in movimento, in posizione di Dran, ha concluso in suo momento. E’ un continuum senza alcuna interruzione, allenamento alla interiorizzazione delle prime percezioni fisiche connesse alla costruzione collettiva.
Con la seconda il gruppo sperimenta la costruzione di coppia, di trio, di quartetto, in un crescendo che porta al doppio: un gruppo diviso a metà, speculare, a capire, nell’azione, la possibilità di rimanere aderenti alla propria costruzione pur modificandola nell’incontro con l’altro parte. E accorgersi che così può nascere un insieme inaspettato.
Fase di Costruzione Collettiva
La quinta fase è una nuova partenza. Verso un processo che è anche prodotto. Nel contempo, si procede con il terzo training, quello capace di attivare la funzione registica all’interno del gruppo. La fase della Costruzione collettiva è lo snodo artistico del TdA. Compressione del corpo e creazione individuale, personaggio come azione fisica, improvvisazione narrativa, invenzione del punto di vista dello spettatore. Fondere il gruppo, secondo indicazioni-dispositivi che sono un vero metodo, collocando la regia nel gruppo e disponendo le regole di lavoro del processo gruppale, per giungere ad una composizione che sia drammaturgica e, poi, spettacolare. Senza alcuna interferenza creativa e artistica del conduttore.
Fase di Rappresentazione
La sesta fase raccoglie il quarto training, giocato sul potenziamento espressivo di ciascuno e del possibile prodotto, attraverso l’allenamento alla ricerca del contrapposto, secondo il principio dell’ Antagonismo Muscolare applicato al corpo e alla voce, e attraverso una particolare forma di Tecnica Sottrattiva/Attributiva, applicata al testo e all’azione drammaturgica. Si pensa ancor di più allo sguardo dello spettatore. Si compone il testo teatrale definitivo e ci si prepara per andare all’incontro pubblico.
Fase di Evento finale
La settima fase raccoglie il finale e il quinto training, quello che spinge ad allenarsi all’assenza del conduttore e alla presenza dello spettatore. Lo spettacolo vero e proprio ne è la conseguenza ma il senso di separazione dal conduttore ne è l’essenza. Non soli ma individuati. Il gruppo è un sé nuovo e il conduttore è diventato, come vuole Grotowski, il testimone principale.
Questa dimensione attiene all’arte teatrale e ai suoi paradigmi e sollecita a tenere sempre alta l’attenzione all’esistenza di forme e chiavi di volta che reggono l’architrave del teatro.
Le tecniche utilizzate e utilizzabili spaziano negli ambiti più diversificati: narrazione, mimo, lavoro sul corpo e sulla coreografia, esplorazione della voce, ritmo e musicalità, costruzione di oggetti, il tutto riletto e declinato secondo i principi metodologici del TdA fondati sull’attenzione ai bisogni del gruppo, considerato sempre nei suoi tre diversi aspetti dimensionali: gruppo in relazione, evoluzione, creazione.
E con ciò, reinventare tutto il possibile, tenendo conto della teoria del Processo Creativo che è sottesa al condurre il gruppo e il singolo proteso alla costruzione di un’opera teatrale. Stimolo, Emozione, Immagine, Composizione, Rappresentazione sono le formule intrecciate a cui il Teatro degli Affetti si ispira. Tutto il percorso è segnato da continue costruzioni, invenzioni, sia del singolo che del gruppo, all’insegna di una tecnica che parte dal proprio testo interno sino a giungere, attraverso la traslazione teatrale, allo sguardo esterno.
Metodica del Processo creativo, Testo interno, Costruzione collettiva, Estetica del processo. Sopra tutto, il principio guida della non interferenza creativa-artistica del conduttore e l’autocontrollo del impulso/potere narcisistico.
“Lampo I” opera di Piero d’Orazio